La morte e il fanciullo

Assediata da morti che sono venuta a cercare.

Facciamo l’amore sotto i pini – sopra alle ossa – sopra alle persone sparite – sopra alle loro storie.

Infilata nella terra di schiena, in mezzo agli aghi di pino.

Lasciati nascere di nuovo qui dentro.

L’unica fede ce l’abbiamo tra le gambe, l’unico infinito trascendente che esiste.

Strillerò alle stelle e alle croci che non c’è più paura.

I morti non si offenderanno.

Loro ci fanno vivi.

 

 

Update a breve giro: portate pazienza, l’overdose da cimitero causa una grossa urgenza di commettere atti impuri :).

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Sonnet 130, W. Shakespeare

My mistress’ eyes are nothing like the sun;
Coral is far more red than her lips’ red;
If snow be white, why then her breasts are dun;
If hairs be wires, black wires grow on her head.
I have seen roses damasked, red and white,
But no such roses see I in her cheeks;
And in some perfumes is there more delight
Than in the breath that from my mistress reeks.
I love to hear her speak, yet well I know
That music hath a far more pleasing sound;
I grant I never saw a goddess go;
My mistress when she walks treads on the ground.
And yet, by heaven, I think my love as rare
As any she belied with false compare.

(Tanto per urlare dove non puoi sentire, con parole non mie, e che mai saprei scrivere – ma su questo sono in buona e abbondante compagnia, e sull’urlare pure. E’ liberatorio sentire di essere solo un topolino come tanti, oltre ad atterrire)

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melanconico erotico stomp

Ti leverei la malinconia a colpi di reni, altroché. (Un metodo infallibile, se solo fossi là)
La mia fica-casa-tua, la mia fica taumaturgica per vederti sorridere.
Succhiami il capezzolo destro come solo tu sai fare.

Direi e ascolterei parole che farebbero arrossire chiunque tranne te. Porterei a compimento promesse guarre rimaste sospese per mancanza di allegria.

Facciamo ballare la testiera once again, niño.

Non voglio saperti triste, voglio stare davanti ai tuoi occhi di latte e pane. Hai detto parole che hanno un significato, che non hai più dormito bene da allora. E adesso? E poi? Niente più.

Forse non ci ho capito un cazzo. Forse è che ci sono tanti modi di avere coraggio, e a te ne manca uno.

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Little by little

Giorno 1
He dejado el cuchillo, pero lo tengo a mano. Me siento más ligera y serena.
Vado incontro al vento, quando cammino, senza nascondere il viso nel cappuccio.
Dopo tanto tempo, sento di nuovo il profumo della menta che sale dalla terra umida. E com’è verde tutto intorno, come una piccola foresta sulla porta della città.

Giorno 5
He cogido de nuevo el cuchillo.
Necesito sentir que me lames los oídos, la mejilla derecha, la nariz de arriba para abajo. Alrededor del cuello. Si no puedes hacerlo con la lengua, que sea con la palabra. Pero hazlo, por dios.
O volveré a cogerlo, que sea para mis entrañas o que sea para tí.
Dime si puedo confiar en la miel tu boca porque me sostenga en esa lucha para la dulzura.
No me importa estar sola, si sé que lo estoy. Puedo luchar para rendirme, sola, pero no puedo no saber si estás a mi lado.
Dime si te tengo aquí cuando intento curarme de mis miedos, domesticar los monstruos que viven en mi estomago.

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Te quise por ser un cachorro de lobo,

por no tener dueña

(ni ganas de tener una).

 

I’m a little girl with a knife,

and a gun behind my pillow.

 

Ahora quiero ponerte correa – igualita a la mia –

aunque sé que eres lobo

y por eso te quise,

por no querer dueña, pero sí quererme a mí.

 

Pero ahora desearías que te pusieras tu propia correa, porque yo ya tengo una, y la amo y me aterra. Así llevaría la mia con alegría y una sonrisa en la boca, confiando en un futuro cercano.

 

I’m a little girl with a knife,

and a gun in my right hand.

My teeth are too small to hurt when I bite,

and that’s why I need a knife, my love.

 

Un sucio cuchillo de carnicero para defenderme,

Para cuando estoy sola en medio de la luz y no has venido a lamerme el cuello, por mucho que te llamaras.

Una noble navaja noble para mis entrañas, para sacarme las tripas antes que nadie.

I will never be your princess, man.

But at least, I will be a little bad girl with a huge knife,

and I will take my own heart to the Queen.

 

 

 

 

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Di amore e precarietà.

Porque me he enamorado

y te quiero y te quiero

Y solo deseo Estar a tu lado”

Cara crisi del capitalismo,

mi pagherai pure questa. A ‘sto punto la prendo come una cosa personale (ma quando non lo è?)

Mi pagherai essere dovuta tornare in Italia e lasciare la mia altra famiglia laggiù. Lui, un nuovo gatto e una vecchia terrazza. Pochi amici. Una suocera brusca, che intuiva il mio strazio: “sei come i bambini che arrivano in affidamento in estate, che hanno una mamma qua e una in Bielorussia”.

Mi pagherai aver dovuto fare di nuovo le valigie, senza potermi godere i giorni post-litigata, in cui ti adori e scopi come “i rivoluzionari all’indomani della vittoria” (cit. Pennac).

Mi pagherai aver chiamato l’amore mio, e aver sentito una gelosia pungente per quelle voci di ragazza. Poi l’ho capito, ero gelosa perché loro erano là, e io non potevo esserci.

Me la pagherai perché, invece, quando sono là sono sempre incazzata perché non c’è lavoro, e ti svegli a mezzogiorno perché almeno così le giornate vuote durano meno.

Mi pagherai Alberto, che sa tanto, suona, dipinge, conosce tre lingue ed è dovuto tornare a vivere coi suoi. Che non può seguire la sua bella basca, perché non potrebbe nemmeno pagare metà dell’affitto.

Mi pagherai Claudia, che fa cose belle con le parole, più di quando potessi immaginare, vuole ballare il tango e dice tutti i giorni “pronto le potremmo fissare un appuntamento?” per uno stipendio di merda.

Mi pagherai gli occhi del mio compagno, a volte troppo stanchi anche per l’amore, le sue gambe doloranti e la puzza di fritto che non lo lascia.

Mi pagherai tutte le volte che a un minuscolo progetto lui mi risponde “sai che non ho soldi”, e io mi sento una stronza per averglielo proposto. Per avergli ricordato i suoi chiodi.
Mi pagherai sua madre, addormentata sul bancone del bar alle due di notte, dopo una giornata intera in piedi nella cucina.

Me la pagherai perché sei l’invitata indesiderata di ogni conversazione, il centro di tutte le giornate. Costruisci il sottotesto di certe liti tra amanti, costruite su uno scontro di frustrazioni uguali e contrarie. Da una parte le mie giornate disoccupate. Dall’altra le sue. Tante ore, pochissimi soldi.

Devo lavorare, come tutt*. E allora, dovrò barattare qualche possibilità di lavorare con la certezza di non poterlo più toccare.

Quando mi girerò nel letto, non lo troverò addormentato, e non toccherò la sua schiena per sapere che sta lì vicino.

Non vedrò più il suo braccio destro alzarsi per accogliermi.

Non mi strazierò più con il ridicolo “m’ama non m’ama” degli innamorati paurosi.

Non ci siederemo sul divano, a dibattere se le pareti della saletta starebbero meglio in verde pistacchio o in azzurro.

Non parleremo per ore di tutta la politica del mondo, e di come – forse – qualcosa in comune io e lui alla fine ce l’abbiamo.

Ya no haré revolución desde su cuerpo de cristal.

E allora finirà questo tempo sospeso, che ho cercato di stirare fino all’assurdo, consapevole che speravamo in un evento straordinario, ai limiti del miracolo.

Caro capitalismo, me la pagherai per strapparmi un pezzo di ventre, di mano, di pelle. Per infilarti nei miei desideri, nei nostri amori, e per provare a togliere la speranza.

D’altronde, è per quello che esisti. Ma la resa non è nei miei progetti.

 

 

 

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E pure oggi non si dorme, però si inventa

Raccontami una storia,

non lasciarmi morire.

Illudimi che c’è un altro posto

dove possiamo andare

e non ci sono soldi né freddo.

Dimmi che ti amo,

che vuoi dormire nei miei capelli.

Che posso dormire tra i tuoi denti

e non mi schiaccerai mai.

 

E’ solo sesso, è solo sesso, è solo sesso.

Non ci credo neanche io, e poi questa parola, “sesso”, mi è sempre sembrata cacofonica. Sessualità, erotismo, scopata, trombata, culo, fica, fregna, cazzo, mi sembrano parole degne, alte. Con “sesso” proprio non ci riesco.

 

 

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Lejos

Tornerò a disegnare mappe per farti avvicinare a me, per arrivare da te. Per sentire di toccarci davvero. Ma non oggi. Oggi le mie mani sono così stanche, anche le mie unghie piangono.

Atena uscì dalla testa di Zeus, il padre che aveva ucciso sua madre. Si condannò a vivere l’eternità sola, fingendo orgoglio per la sua condizione di vergine.

Entra, per favore, e offrimi una tazza di tè, perchè oggi non ho i poteri per fare magie nè incantesimi. Non so nemmeno ascoltare i tuoi conjuros e ho tanta paura di non ritrovarci più, compagno di viaggio.

Oggi posso solo stare immobile, tu scalami come fossi un mandorlo infestato dall’edera. Metti le dita sulla mia corteccia, guariscimi.

Prometto che tornerò a disegnare mappe perchè tu possa trovarmi, ma non oggi. Oggi l’edera mi ha riempito gli occhi, sono stanca e spaventata.

Per favore, entra e offrimi una tazza di tè.

aggiornamento: le mappe servono solo se qualcuno si mette a leggerle.

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14N

#14N la poesia di uno sciopero

Condivido dal blog di slavina.
In lingua originale:

Huelga – Gioconda Belli

Quiero una huelga donde vayamos todos.
Una huelga de brazos, piernas, de cabellos,
una huelga naciendo en cada cuerpo.

Quiero una huelga
de obreros de palomas
de choferes de flores
de técnicos de niños
de médicos de mujeres.

Quiero una huelga grande,
que hasta el amor alcance.
Una huelga donde todo se detenga,
el reloj las fábricas
el plantel los colegios
el bus los hospitales
la carretera los puertos.

Una huelga de ojos, de manos y de besos.
Una huelga donde respirar no sea permitido,
una huelga donde nazca el silencio
para oír los pasos del tirano que se marcha.

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saturday morning and I want to feel

Credo, ormai profondamente, che le metafore con cui ci esprimiamo rivelano il nostro mondo interiore, le immagini che ci popolano.
Per questo mi costa tanto la distanza linguistica tra me e te, perchè quando parliamo è sempre nella tua lingua, e mi sento impacciata.
Le parole non scorrono lisce come quando metti la mano nell’acqua e la muovi, ma incontrano sabbia, e intoppi, e sfregano contro qualcosa. E così quello che mi gorgoglia tra le costole resta lì, e oggi mi sta strozzando.
Ho riempito di cicche il posacenere della nostra stanza, questo minuscolo mondo instabile che dividiamo, e non riesco a smettere di prendermi il lusso di sentirmi vuota, arida e sola, di rigirarmi in questo senso di solitudine come tra lenzuola accoglienti. Come quando sai che stai dormendo troppo, che già è ora di alzarsi e che se non lo fai resterai tutto il giorno con il mal di testa e un senso di malessere, ma non vuoi tornare alla realtà e te ne resti là, rigirandoti nel letto.

Dicevo, le metafore esprimono il mondo che ci popola la testa.
A me, il mondo che mi popola la testa, mi ha spesso allontanato dalla realtà degli umani in carne e ossa.

Sei sopra di me, mi stai scopando, ma io non sento quello che c’è dentro la mia fica. Sposto la testa quel tanto da riuscire a guardare la pelle del tuo fianco, morbidissima sotto le mani.
Amo quel tuo pezzetto di pelle, e so perfettamente perchè lo amo tanto: perchè entra nel mio mondo immaginario. (Forse sono arida, rinchiusa nelle mie fantasie, e dovrei godere perchè sei dentro di me, ma no, penso, immagino, e me ne parto – sola – per altri lidi).
E’ lo stesso motivo per cui mi sciolgo quando di notte ti avvicini per dormire nella tua – nella nostra – posizione preferita, con la mia pancia appiccicata alla tua schiena e le mie ginocchia mischiate con le tue. In quel momento immagino che hai smesso di lottare, di dimostrare quanto sei maschio alfa e gli fai il culo a tutti, e ti sei preso una pausa per lasciare che qualcuno – io – ti veda indifeso.
So perfettamente perchè tutto questo entra nel mio immaginario: rappresenta il frammento di te che non è macho, che non entra e non spinge, che si lascia toccare e prendere.
Ecco come il linguaggio esprime il mio mondo interiore: l’idea che il mio compagno – di letto, di strada, di vita – desideri essere preso mi fa bagnare fino alle ossa, mi provoca sommovimenti tellurici al bacino e un sorriso idiota permanente.
La sola idea ha il potere magico di scatenarmi fantasie e farmi sentire viva del tutto.
Vedi, amore mio logico? Sono cose che succedono nella mia testa, libere interpretazioni dei tuoi gesti, ma sono sensazioni forti, che mi scendono nella pancia e mi fanno stare bene.
Mi eccitano, perfino.
Dovrei raccontarti tutto questo, bene, farne una storia avvincente e godibile a livello di marketing per tentare l’impresa di farti venire la voglia di entrare nella mia testa e vedere che succede.
Ma sospetto fortemente che la tua machitudine non troverà mai bello e poetico ed eccitante tutto questo, l’idea di essere preso e compagnia bella.
E allora mi fumo un’altra sigaretta.

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